Avevo circa 4 o 5 anni quando quel natale papà decise di acquistare un computer. Non sapevo nemmeno di cosa si trattasse, la vedevo come una scatola magica che faceva uscire suoni e immagini. Con un cavo video lungo tipo 3 metri e i 2 joystick, attaccato a una tv a tubo da 14 pollici (a colori, per fortuna), e quei giochini che tanto mi emozionavano. E’ uno dei ricordi belli che tengo attaccati a mio papà. E se posso questo articolo lo dedico a lui.
Il Commodore 64, l’unica vera macchina videoludica degli anni 80, forse il primo vero Home Computer che ha “costretto” milioni di persone a far entrare di prepotenza un calcolatore nelle loro case, e che ha fatto felici bambini e adulti, tutta una generazione di persone che, ora 40enni, ricordano con affetto il famoso 8 bit; è per questo che sono fiero di far parte della famosa “8-bit generation”.
La storia del piccolo mostro di casa Commodore parte dal sig. Jack Tramiel, un polacco scampato ai campi di concentramento e diventato molto bravo nella riparazione di macchine da scrivere. La sua avventura inizia in America, nel Bronx, dove nel 1953 apre un negozietto di riparazione di apparecchi elettronici. Ma non era solo bravo a riparare, era un ottimo manager, e così cominciò anche a vendere i suoi apparecchi, non solo in America ma anche in Europa. La sua “Commodore Portable Typewriter Company” iniziò subito a volare, e dal 55 al 60 fece ottimi affari. Alcune scelte ed investimenti sbagliati fecero perdere terreno al nostro Tramiel, che successivamente capì che il mondo del Sol Levante, con la sua produzione all’avanguardia e dai costi contenuti, stava diventando la nuova industria del secolo. Di ritorno da un proficuo viaggio in Giappone, abbandonò la produzione della macchine da scrivere per dedicarsi alle calcolatrici elettroniche, il futuro in quel periodo storico.
Le calcolatrici di Tramiel, che acquistava i componenti dalla Texas Instruments, fecero furore, procurandogli un fatturato di circa 50 milioni di dollari l’anno. Non male per un polacco emigrato in America che riparava macchine da scrivere. Ma successivamente la Texas Instruments iniziò a produrre in autonomia le calcolatrici con i suoi chip, e questo tagliò di fatto le gambe a Tramiel e alla sua Commodore.
Tutto questo accadeva negli anni 70. Ma il nostro imprenditore era lontano dall’arrendersi, e cambiò nuovamente rotta acquisendo proprio aziende che si occupavano di elettronica, tra cui la famosa MOS Tecnology, dove un certo Chuck Peddle lavorava.
Questa sinergia, questa unione, avrebbe dato vita al nostro piccolo, amato C64. E non solo. Verso la fine degli anni 70 (era il 1977), fa capolino nel mondo dei calcolatori il famoso PET 2001, il Personal Electronic Translator, una macchina considerata da tutto il primo Personal Computer. Era un blocco unico, con monitor, tastiera e lettore di cassette per caricare e salvare i programmi; la sua potenza di calcolo era garantita dalla CPU 6502, con 4K di RAM (misure ad oggi ridicole e impensabili, ma per l’epoca grandiose), uno schermo da 9 pollici da 40X25 caratteri. Assieme allo Zilog Z80 dell’italiano Faggin, il 6502 era una delle CPU più potenti ed economiche sul mercato.
Il PET, con un prezzo inferiore ai 1000 dollari, divenne la macchina più venduta dell’epoca, facendo volare la Commodore nell’olimpo dei grandi.
Ma i problemi per Tramiel stavano tornando a farsi sentire. Nonostante il successo del suo calcolatore, grandi case come Apple e Atari stavano proponendo al pubblico macchine casalinghe con la possibilità di collegarsi alla TV, sopperendo quindi al problema di monitor piccoli e con pochi caratteri visualizzabili a schermo. Apple II e Atari 800 stavano di fatto surclassando il piccolo di casa Commodore. I tecnici della casa d’oltreoceano decisero quindi di fare un nuovo salto in avanti tecnologico, disassemblando la vecchia idea del “tutto in uno”, e progettando così il VIC 20.
Dotato del famigerato 6502, il nuovo nato della Commodore aveva 5K di RAM e 20K di ROM. In più, grande novità, l’integrato VIC (MOS video interface chip), che si occupava di grafica e sonoro. La grossa novità del VIC è che finalmente poteva essere collegato alla TV di casa, o ad un monitor compatibile. Aveva un prezzo concorrenziale (circa 230 dollari), e questo decretò la non concorrenza delle altre grandi case. Con un boom di 1.000.000 di pezzi venduti, ne vennero venduti in totale circa 2.500.000 pezzi in tutto il mondo. E il VIC 20 aprì le porte al nuovo mercato che piano piano si stava affacciando nel mondo: quello dei videogiochi.
Proprio questo mercato, agli inizi degli anni 80, spinse gli ingegneri della Commodore a orientarsi verso una macchina videoludica, capace di riprodurre suoni e immagini ad alto livello. Era un’epoca dove le sale giochi stavano diventando uno degli intrattenimenti più grandi e proficui di quegli anni, dove milioni di ragazzini mettevano monete negli intramontabili cabinati da gioco.
Nel 1981 la MOS cominciò a progettare i nuovi chip grafico e sonoro per la futura macchina di intrattenimento ludico della Commodore, e sebbene il progetto venne completato in Novembre, Tramiel fu contrariato perchè pretendeva che la quantità di RAM fosse di 64K, nonostante i costi delle memorie fossero alti per i costi di produzione. Costrinse quindi i progettisti ad una corsa ai 100 metri per completare il prototipo che venne presentato all’International Winter Consumer Electronics Show del Gennaio ’82. Le aggressive tecniche manageriali e di marketing, nonché i successivi costi di produzione scesi drasticamente, avrebbero permesso al VIC 30….cosa?????? di cosa stiamo parlando???? Ebbene si. Tristemente il nuovo nato di casa Commodore doveva chiamarsi VIC 30, ma fortunatamente decisero alla fine di chiamarlo 64, in onore alla memoria installata.
Era finalmente nato. Il C64, tanto atteso, era venuto al mondo, e il suo successo echeggia ancora nei giorni nostri. In Italia compare allo SMAU del 1982 (che ricordi!!!) e viene distribuito proprio dalla Commodore con sede in Italia (Tramiel aveva colpito ancora). Nel giro di poco tempo sbaragliò tutta la concorrenza a 8-bit, fra cui l’Amstrad CPC e lo ZX Spectrum. Vi ricordate di Atari 800 e Apple II? Completamente atterrati dai nuovi chip del C64.
E non era solo un personal computer, ma una meravigliosa macchina da gioco che per tutti gli anni 80 ci ha emozionato e che ancora oggi rivive nei Commodore mantenuti in vita e grazie agli emulatori che ci permettono di giocare tutti i titoli di questo meraviglioso mostro tecnologico.
Questi due accessori erano una delle “genialità di casa Commodore. Lettore di cassette ma soprattutto floppy disk. I più ricchi nemmeno a dirlo (e grazie a mio papà ne divenni un felice possessore) si portavano a casa un drive 1541, capace di leggere i famosi floppy disk da 5 1/4, e di avere una velocità di caricamento nettamente superiore al lettore a cassette. E, cosa incredibile per quei tempi, la possibilità di giocare in due contemporaneamente, grazie alle 2 porte Joystick.
Due tipologie di Joystick in vendita nei primi anni 80. Non c’erano ancora chicche come l’autofire o i microswtich, ma avevano un fascino incredibile.
Da questo momento in poi il Commodore 64 divenne la macchina da gioco di una decade, surclassata solo dal suo successore, l’Amiga 500. Vendette nei suoi anni di vita circa 12-17 milioni di unità, ma c’è chi afferma che il piccolo di casa Tramiel (ehm Commodore) abbia venduto 20 milioni di “biscottoni”. A livello estetico venne “rieditato” un paio di volte, per avere una linea più affusolata e moderna, ma a livello HW rimase lo stesso. Anche il floppy drive venne modernizzato e rimpicciolito, ma la capacità dei Floppy non cambiò mai. Tutto il successo della macchina da gioco venne accompagnato dalla nascita e crescita delle cosiddette “Software House”, compagnie informatiche che sviluppavano videogiochi. Ma di questo vi parlerò la prossima volta, nella seconda parte del mio articolo, dedicato proprio ai giochi per il Commodore e alle case di sviluppo software.
Il Commodore 64 ha cresciuto un’epoca di giovani, e meno giovani. Ha avvicinato ragazzini e adulti. In un momento storico come quello attuale, dove la “macchina da gioco” ormai non esiste più, surclassata da ogni dispositivo elettronico oggi in commercio, quello scatolotto grigio ci ha fatto sognare. E se oggi ci stupiamo per mirabolanti effetti grafici e grafica renderizzata real-time, io quei pixel colorati e quel suono incredibile che usciva dalla tv non potrò scordarli mai. Vive ancora nei nostri ricordi, con eventi, magliette, gadget e dispositivi retrò che tentano (invano) di riportarci a quell’epoca. Peccato che con l’avvento del digitale quelle eccezionali risoluzioni e i suoni che uscivano dal chip “SID” siano andati a finire nei cassetti del dimenticatoio o in quelli delle nostre case, nelle cantine. Spero che i figli di adesso e i nostri futuri possano apprezzare una “vecchia” tecnologia, che per quanto ormai obsoleta, ci ha regalato ore, anzi anni di gioco vero, accendendo vecchie tv a tubo catodico, in bianco e nero e a colori, e imprecando nell’attesa di una cassetta che non girava mai, o di un floppy che caricava, al suono di Load”*.*”,8,1